Il derattizzatore
Monday, February 06, 2006
Io ci cago sulla faccia del profeta Maometto
(un tentativo di risposta al bel post di Haramlik)
Condivido profondamente tutto quello che Haramlik dice sul rispetto gratis e la capacità di fermarsi prima di offendere profondamente l’altro, e non perché una norma te lo imponga ma perché, semplicemente, ciò che ti manca è proprio la volontà di offendere.
Ma devo aggiungere una cosa fondamentale a compendio: se io sono un peccatore che se ne strafrega degli insegnamenti dei profeti, il mio vicino di casa ebreo-cristiano-musulmano-confuciano-animista mi deve lasciar peccare finchè mi pare e non rompermi i coglioni. E’ un concetto semplice cari Haramlik e Leonardo. Che si sposa benissimo con la complessità delle cose che tanto invocate. Che può benissimo essere capito al volo persino dal più sperduto beduino analfabeta del deserto.
Solo che gli appartenenti alle religioni hanno questo dono di dio: ti devono sempre dire quello che devi e non devi fare. E sono sicuri di essere nel giusto.
Ok, diciamo che fare i disegnini del loro dio sia stata una sciocchezza. Un vezzo pseudolibertario. Muoiano le vignette e quel quotidiano danese dal nome impronunciabile. Qualcuno, non dico con ragione, ma almeno con legittimità, potrebbe persino sostenere che è proprio la bruttezza di quelle vignette a rendere assurda la loro difesa e pubblicazione. Ok
Ma se invece parliamo del romanzo di Rushdie come la mettiamo ? Siamo ancora al vezzo pseudolibertario ? Dobbiamo smettere di scrivere romanzi che non piacciono a qualche interprete terreno di un dio schifoso ?
Perché questa è la questione.
Commentando la vignetta di Maometto col turbante-bomba dicevo ieri che poteva anche essere razzista. Nel senso che dipende dal contesto. Ma non ci si può mai dimenticare di come la religione e in particolare, nel contesto attuale, proprio quella islamica sia usata per far trasformare gli uomini in bombe umane (in bombe umane! non amo gli esclamativi ma qui non posso farne a meno) che colpiscono civili innocenti. Altro che oppio, qui siamo allo scoppio dei popoli se mi consenti un’altra battuta di cattivo gusto.
Solo che, soprattutto, noi abbiamo combattuto la religione quando questa non ci è servita più.
Vaglielo a dire a chi si sveglia la mattina senza sapere se arriverà vivo a sera, che dopo la vita non c’è nulla.
Dillo a chi convive gomito a gomito con la morte e non solo, non necessariamente perché lo opprimono, gli sparano addosso o lo bombardano ma perché la morte è presente in tutto ciò che fai, semplicemente.
In tutto.
Nel lavoro, fatto senza uno straccio di sicurezza. Nell’acqua del Nilo che trasmette la bilharziosi e nell’aria di piombo delle grandi città dove finiscono le nostre macchine usate.
Nelle infrastrutture assassine e nella mancanza di garanzie, di protezioni che non siano quelle della famiglia, del gruppo e dell’etica condivisa.
Già, c’è una questione sociale nei paesi arabi. E il processo di secolarizzazione della società occidentale è sicuramente stato favorito dal benessere. Tutto vero
Solo che circa un secolo e mezzo fa, in occidente, ci fu gente che si trovò di fronte una situazione probabilmente abbastanza simile a quella odierna del Medio Oriente. E concluse che la questione religiosa era un pezzo della questione sociale. E cominciarono proprio col dire ai poveracci che dio, o meglio l’uso che ne veniva fatto dalle gerarchie, non era parte della soluzione ma parte del problema.
Vuoi mai vedere che sia la ricetta giusta anche per l’oggi ?
Chi sparge l'impostura
avvolto in nera veste,
chi nega la Natura
sfuggiam come la peste.
Sprezziam gli dèi del cielo
e i falsi lor cultori;
del ver squarciamo il velo:
Perciò siam malfattori.
Inno dei Malfattori (canto anarchico – 1892)
(un tentativo di risposta al bel post di Haramlik)
Condivido profondamente tutto quello che Haramlik dice sul rispetto gratis e la capacità di fermarsi prima di offendere profondamente l’altro, e non perché una norma te lo imponga ma perché, semplicemente, ciò che ti manca è proprio la volontà di offendere.
Ma devo aggiungere una cosa fondamentale a compendio: se io sono un peccatore che se ne strafrega degli insegnamenti dei profeti, il mio vicino di casa ebreo-cristiano-musulmano-confuciano-animista mi deve lasciar peccare finchè mi pare e non rompermi i coglioni. E’ un concetto semplice cari Haramlik e Leonardo. Che si sposa benissimo con la complessità delle cose che tanto invocate. Che può benissimo essere capito al volo persino dal più sperduto beduino analfabeta del deserto.
Solo che gli appartenenti alle religioni hanno questo dono di dio: ti devono sempre dire quello che devi e non devi fare. E sono sicuri di essere nel giusto.
Ok, diciamo che fare i disegnini del loro dio sia stata una sciocchezza. Un vezzo pseudolibertario. Muoiano le vignette e quel quotidiano danese dal nome impronunciabile. Qualcuno, non dico con ragione, ma almeno con legittimità, potrebbe persino sostenere che è proprio la bruttezza di quelle vignette a rendere assurda la loro difesa e pubblicazione. Ok
Ma se invece parliamo del romanzo di Rushdie come la mettiamo ? Siamo ancora al vezzo pseudolibertario ? Dobbiamo smettere di scrivere romanzi che non piacciono a qualche interprete terreno di un dio schifoso ?
Perché questa è la questione.
Commentando la vignetta di Maometto col turbante-bomba dicevo ieri che poteva anche essere razzista. Nel senso che dipende dal contesto. Ma non ci si può mai dimenticare di come la religione e in particolare, nel contesto attuale, proprio quella islamica sia usata per far trasformare gli uomini in bombe umane (in bombe umane! non amo gli esclamativi ma qui non posso farne a meno) che colpiscono civili innocenti. Altro che oppio, qui siamo allo scoppio dei popoli se mi consenti un’altra battuta di cattivo gusto.
Solo che, soprattutto, noi abbiamo combattuto la religione quando questa non ci è servita più.
Vaglielo a dire a chi si sveglia la mattina senza sapere se arriverà vivo a sera, che dopo la vita non c’è nulla.
Dillo a chi convive gomito a gomito con la morte e non solo, non necessariamente perché lo opprimono, gli sparano addosso o lo bombardano ma perché la morte è presente in tutto ciò che fai, semplicemente.
In tutto.
Nel lavoro, fatto senza uno straccio di sicurezza. Nell’acqua del Nilo che trasmette la bilharziosi e nell’aria di piombo delle grandi città dove finiscono le nostre macchine usate.
Nelle infrastrutture assassine e nella mancanza di garanzie, di protezioni che non siano quelle della famiglia, del gruppo e dell’etica condivisa.
Già, c’è una questione sociale nei paesi arabi. E il processo di secolarizzazione della società occidentale è sicuramente stato favorito dal benessere. Tutto vero
Solo che circa un secolo e mezzo fa, in occidente, ci fu gente che si trovò di fronte una situazione probabilmente abbastanza simile a quella odierna del Medio Oriente. E concluse che la questione religiosa era un pezzo della questione sociale. E cominciarono proprio col dire ai poveracci che dio, o meglio l’uso che ne veniva fatto dalle gerarchie, non era parte della soluzione ma parte del problema.
Vuoi mai vedere che sia la ricetta giusta anche per l’oggi ?
Chi sparge l'impostura
avvolto in nera veste,
chi nega la Natura
sfuggiam come la peste.
Sprezziam gli dèi del cielo
e i falsi lor cultori;
del ver squarciamo il velo:
Perciò siam malfattori.
Inno dei Malfattori (canto anarchico – 1892)
Questo vecchio blog, abbandonato a causa del cambio di professione e della pigrizia del suo autore viene riesumato per l'occasione per dare ospitalità al mio amico cragno, improvvidamente censurato da leonardo (qui sopra)
Thursday, May 05, 2005
Ci siamo presi Christian Rocca
titolo: "Quaranta cristiani arrestati a Riad, mentre il democratizzatore Bush va a braccetto col tiranno saudita"
svolgimento: "... Ovviamente c'è qualcosa che non torna: Bush è il democratizzatore del medio oriente, ma anche l'amico dei tiranni più pericolosi del medio oriente. Il punto è che l'America non sa che pesci prendere con l'Arabia Saudita: dipende dal suo petrolio e non riesce a imporle di abbassarne il prezzo (l'alto costo della benzina oggi è il più urgente problema degli Stati Uniti). Allo stesso tempo, gli americani sanno benissimo che Riad è la casamatta del fondamentalismo e del terrorismo islamico."
Così Rocca si accorge che è sufficiente il conto del benzinaio per far dimenticare la rivoluzione al suo rivoluzionario preferito. Basta un trillo particolarmente squillante del registratore di cassa e tutto torna nei ranghi, "improvvisamente Bush torna realista".
Io, che oggi compio gli anni di Cristo, ho l'età per ricordarmi il papà di George W. Bush, George e basta Bush, che parlò di New World Order basato sui diritti umani e lasciò mitragliare i curdi dal cattivissimo dittatore babilonese dopo averli incitati a ribellarsi.
Rocca, che all'epoca faceva l'asilo, comincia ora ad avere i primi dubbi adolescenziali sull'onestà dei potenti.
Tra qualche settimana riempirà il suo i-pod di musica punk e si farà tatuare la A cerchiata sul petto.
titolo: "Quaranta cristiani arrestati a Riad, mentre il democratizzatore Bush va a braccetto col tiranno saudita"
svolgimento: "... Ovviamente c'è qualcosa che non torna: Bush è il democratizzatore del medio oriente, ma anche l'amico dei tiranni più pericolosi del medio oriente. Il punto è che l'America non sa che pesci prendere con l'Arabia Saudita: dipende dal suo petrolio e non riesce a imporle di abbassarne il prezzo (l'alto costo della benzina oggi è il più urgente problema degli Stati Uniti). Allo stesso tempo, gli americani sanno benissimo che Riad è la casamatta del fondamentalismo e del terrorismo islamico."
Così Rocca si accorge che è sufficiente il conto del benzinaio per far dimenticare la rivoluzione al suo rivoluzionario preferito. Basta un trillo particolarmente squillante del registratore di cassa e tutto torna nei ranghi, "improvvisamente Bush torna realista".
Io, che oggi compio gli anni di Cristo, ho l'età per ricordarmi il papà di George W. Bush, George e basta Bush, che parlò di New World Order basato sui diritti umani e lasciò mitragliare i curdi dal cattivissimo dittatore babilonese dopo averli incitati a ribellarsi.
Rocca, che all'epoca faceva l'asilo, comincia ora ad avere i primi dubbi adolescenziali sull'onestà dei potenti.
Tra qualche settimana riempirà il suo i-pod di musica punk e si farà tatuare la A cerchiata sul petto.
Tuesday, May 03, 2005
Salvo errori ed omissis
Dunque non gli avevano insegnato a usare Acrobat. Proprio come un addetto di call-center qualsiasi, pescato da un' agenzia interinale qualunque, a cui nessuno fa la formazione perchè costa troppo. Chiunque abbia lavorato quasi in qualsiasi settore, sa che funziona così.
Un tempo qualcuno diceva che il mondo del lavoro fosse un gigantesca parodia di quello militare. Oggi non è facile capire quale dei due faccia il verso all'altro. Probabilmente non sono più neppure due, ma uno solo. Una sintesi della perfetta organizzazione militare unita alla proverbiale efficienza del settore privato.
Poi per fortuna i risultati si vedono.
Dunque non gli avevano insegnato a usare Acrobat. Proprio come un addetto di call-center qualsiasi, pescato da un' agenzia interinale qualunque, a cui nessuno fa la formazione perchè costa troppo. Chiunque abbia lavorato quasi in qualsiasi settore, sa che funziona così.
Un tempo qualcuno diceva che il mondo del lavoro fosse un gigantesca parodia di quello militare. Oggi non è facile capire quale dei due faccia il verso all'altro. Probabilmente non sono più neppure due, ma uno solo. Una sintesi della perfetta organizzazione militare unita alla proverbiale efficienza del settore privato.
Poi per fortuna i risultati si vedono.
Sunday, April 24, 2005
Esportare la commedia all'italiana
Totò contro Maciste, Fracchia contro Dracula, Christian Rocca contro l'Onu
Totò contro Maciste, Fracchia contro Dracula, Christian Rocca contro l'Onu
Tuesday, April 19, 2005
Monday, April 18, 2005
The right side of the t-shirt
Oggi il neocon Christian Rocca gongola perché Time ha messo in copertina la paleocon signorina Ann Coulter, detta Miss Right. E se lui gongola noi, che non sopportiamo i –con con qualsiasi radice si presentino, stappiamo bottiglie. Perché la signorina Coulter, che pare abbia detto che l’invasione in Iraq sta andando benissimo, è uno di quei personaggi di cui abbiamo un disperato bisogno. Se fossero più ascoltati da chi sta al potere, ce lo toglierebbero più in fretta dai coglioni.
E se Montanelli aveva sempre un busto di Stalin sulla scrivania, in segno di gratitudine per tutti i comunisti che ha fatto fuori, a noi basterebbe tenere nel guardaroba una maglietta di Ann Coulter. Che sicuramente non fa lo stesso effetto, ma è anche meno imbarazzante quando si hanno ospiti.
Oggi il neocon Christian Rocca gongola perché Time ha messo in copertina la paleocon signorina Ann Coulter, detta Miss Right. E se lui gongola noi, che non sopportiamo i –con con qualsiasi radice si presentino, stappiamo bottiglie. Perché la signorina Coulter, che pare abbia detto che l’invasione in Iraq sta andando benissimo, è uno di quei personaggi di cui abbiamo un disperato bisogno. Se fossero più ascoltati da chi sta al potere, ce lo toglierebbero più in fretta dai coglioni.
E se Montanelli aveva sempre un busto di Stalin sulla scrivania, in segno di gratitudine per tutti i comunisti che ha fatto fuori, a noi basterebbe tenere nel guardaroba una maglietta di Ann Coulter. Che sicuramente non fa lo stesso effetto, ma è anche meno imbarazzante quando si hanno ospiti.
Saturday, March 26, 2005
Un pochino neoecogl
Uno dice: chi è pirla è pirla sempre. E invece no. Oggi ad esempio Rocca scopre che i neocon hanno scoperto che favorire le energie rinnovabili e l'efficienza energetica non è poi così malaccio. E ora devono solo spiegarlo a Gi Dabliù. Per indorare la pillola promettono, in cambio, di regalare all'industria automobilistica qualche miliardo di dollari. Quindi io sintetizzerei così: chi è pirla non è pirla sempre completamente. Ma lo resta sempre almeno un pochino.
Uno dice: chi è pirla è pirla sempre. E invece no. Oggi ad esempio Rocca scopre che i neocon hanno scoperto che favorire le energie rinnovabili e l'efficienza energetica non è poi così malaccio. E ora devono solo spiegarlo a Gi Dabliù. Per indorare la pillola promettono, in cambio, di regalare all'industria automobilistica qualche miliardo di dollari. Quindi io sintetizzerei così: chi è pirla non è pirla sempre completamente. Ma lo resta sempre almeno un pochino.
Tuesday, November 02, 2004
Dear Mr. Neocon, I write to you a letter...
Caro Christian Rocca,
prendo te, che sei il mio neocon di riferimento, come tramite per rivolgermi a tutta la categoria. Mi piace leggere i vostri blog e le vostre teorie. Mi incuriosiscono perché le considero, con rispetto parlando, un coacervo di stronzate come era da anni che in politica non capitava.
Dunque, prima che arrivino i risultati delle elezioni presidenziali americane, a bocce ferme, colgo l’occasione per scriverti la presente, che spero leggerai.
Tu negli ultimi tempi hai speso molte parole sulle elezioni americane per dimostrare che Kerry è più falco di Bush. Che Kerry è il vero conservatore. Che è un opportunista. Che cambia parere continuamente. Che non c’entra niente con la sinistra. Che è il vero candidato di destra. Che nessuno, nemmeno con tutto l’impegno riesce a considerarlo un buon candidato. Che in caso di sua vittoria la sinistra non avrebbe nulla da festeggiare.
E io te le do tutte per buone.
Ma vorrei farti presente, a te e tutta la categoria, che è vero anche il contrario. Ovverosia che in caso di vittoria di Bush i neocon non avrebbero nulla da festeggiare. Perché avete perso comunque.
Il vostro liberation-tour (Iraq – Siria – Iran - N. Corea, ecc ecc) è fermo alla tappa iniziale, dove si sta dimostrando un flop clamoroso, e non ha alcuna possibilità di arrivare neppure alla seconda. Nemmeno con un altro quadriennio repubblicano.
Stop. L’export di democrazia è già finito. La vostra rivoluzione anche.
E sai perché avete perso?
Non perché avete combattuto"on cheap". Non perché c’era Bremer anziché un altro migliore.
Ma per un motivo molto molto più semplice: perché le vostre teorie sono un concentrato di stronzate.
Esportare la democrazia con la forza è una barzelletta.
Si può raccontarla alla tv un milione di volte, fino a farla sembrare una cosa seria a tanti pirla che guardano i teleschermi. E voi l’avete fatto.
Ma ci sono cose, vivaddio, che non si decidono democraticamente. Il teorema di Pitagora resta vero anche se convinci un miliardo di elettori del contrario.
Esportare la democrazia con la forza resta una barzelletta anche se un miliardo di elettori non ridono più quando la sentono.
E’ una questione logica, non politica.
Lascialo dire a uno che non scriverà sul Wall Street Journal, non insegnerà alla Columbia, non dirigerà think tank di sorta. Ma è pur sempre uno stimato professionista
Caro Christian Rocca,
prendo te, che sei il mio neocon di riferimento, come tramite per rivolgermi a tutta la categoria. Mi piace leggere i vostri blog e le vostre teorie. Mi incuriosiscono perché le considero, con rispetto parlando, un coacervo di stronzate come era da anni che in politica non capitava.
Dunque, prima che arrivino i risultati delle elezioni presidenziali americane, a bocce ferme, colgo l’occasione per scriverti la presente, che spero leggerai.
Tu negli ultimi tempi hai speso molte parole sulle elezioni americane per dimostrare che Kerry è più falco di Bush. Che Kerry è il vero conservatore. Che è un opportunista. Che cambia parere continuamente. Che non c’entra niente con la sinistra. Che è il vero candidato di destra. Che nessuno, nemmeno con tutto l’impegno riesce a considerarlo un buon candidato. Che in caso di sua vittoria la sinistra non avrebbe nulla da festeggiare.
E io te le do tutte per buone.
Ma vorrei farti presente, a te e tutta la categoria, che è vero anche il contrario. Ovverosia che in caso di vittoria di Bush i neocon non avrebbero nulla da festeggiare. Perché avete perso comunque.
Il vostro liberation-tour (Iraq – Siria – Iran - N. Corea, ecc ecc) è fermo alla tappa iniziale, dove si sta dimostrando un flop clamoroso, e non ha alcuna possibilità di arrivare neppure alla seconda. Nemmeno con un altro quadriennio repubblicano.
Stop. L’export di democrazia è già finito. La vostra rivoluzione anche.
E sai perché avete perso?
Non perché avete combattuto"on cheap". Non perché c’era Bremer anziché un altro migliore.
Ma per un motivo molto molto più semplice: perché le vostre teorie sono un concentrato di stronzate.
Esportare la democrazia con la forza è una barzelletta.
Si può raccontarla alla tv un milione di volte, fino a farla sembrare una cosa seria a tanti pirla che guardano i teleschermi. E voi l’avete fatto.
Ma ci sono cose, vivaddio, che non si decidono democraticamente. Il teorema di Pitagora resta vero anche se convinci un miliardo di elettori del contrario.
Esportare la democrazia con la forza resta una barzelletta anche se un miliardo di elettori non ridono più quando la sentono.
E’ una questione logica, non politica.
Lascialo dire a uno che non scriverà sul Wall Street Journal, non insegnerà alla Columbia, non dirigerà think tank di sorta. Ma è pur sempre uno stimato professionista
Friday, June 25, 2004
Flaiano Today
I fascisti in Iraq si dividono in due categorie: quelli che vogliono toglierti la libertà e quelli che vogliono importela con la forza
I fascisti in Iraq si dividono in due categorie: quelli che vogliono toglierti la libertà e quelli che vogliono importela con la forza
Saturday, April 05, 2003
Chiedo che si faccia l'esame del DNA alla democrazia americana per verificare che non si tratti di un sosia
Tuesday, February 25, 2003
Friday, January 24, 2003
Il derattizzatore è vivo e posta assieme a noi
Chiedo scusa a tutti i lettori occasionali (di abituali non credo ce ne siano) di questa pagina per la mancanza di nuovi post. Il fatto è che attualmente sto seguendo l'altro blog. E portare avanti contemporaneamente due blog e una vita è superiore alle mie misere forze. Ma tornerò. (spero)
Chiedo scusa a tutti i lettori occasionali (di abituali non credo ce ne siano) di questa pagina per la mancanza di nuovi post. Il fatto è che attualmente sto seguendo l'altro blog. E portare avanti contemporaneamente due blog e una vita è superiore alle mie misere forze. Ma tornerò. (spero)
Thursday, January 09, 2003
Monday, January 06, 2003
Diario di un viaggio a Cuba
Il derattizzatore - ve ne sarete accorti - è un blog puttosto discontinuo.
Ma, proprio nel momento in cui l'inverno è più gelido e le feste finiscono, vuole fare un caldo regalo dell'epifania ai suoi lettori: il diario (vero) del viaggio a Cuba di Davide Pocobene.
Pubblicato a puntate su diariodicuba.blogspot.com
Il derattizzatore - ve ne sarete accorti - è un blog puttosto discontinuo.
Ma, proprio nel momento in cui l'inverno è più gelido e le feste finiscono, vuole fare un caldo regalo dell'epifania ai suoi lettori: il diario (vero) del viaggio a Cuba di Davide Pocobene.
Pubblicato a puntate su diariodicuba.blogspot.com
Wednesday, January 01, 2003
Tuesday, December 31, 2002
Il processo - 3a e ultima puntata
(un racconto di Natale)
Ma Topo Gigio non era un sempliciotto? Ma proprio con me doveva prendersela porc*$ª**?
“Mi è difficile non condividerla eccellenza, ma cerchi di capirci: oggi come oggi gli stabilimenti alimentari, la produzione industriale, sono indispensabili a garantirci la sicurezza alimentare. Le malattie che voi potreste propagare sono un fatto. E poi: mi risulta che in alcune nazioni del Terzo Mondo un quinto delle derrate alimentari sia divorato o reso inservibile dai roditori
Cos’altro potremmo fare?”
Di nuovo ci fu bailamme
“Non cerchi per favore di spostare l’argomento del dibattimento dalle sue colpe individuali al discorso sociale. E’ un espediente logoro.
Comunque, se proprio lo vogliamo affrontare, ancora una volta imputato sono costretto a ricordarle che siete vittime della vostra stessa dissennatezza: nel Terzo Mondo foreste, paludi, savane, habitat naturale di molti nostri predatori, sono state distrutte – e di questo vi ringraziamo - per insediare monocolture destinate all’esportazione.
Veniamo poi alle cose che più direttamente la riguardano: le capita mai di pensare che anziché spargere esche avvelenate, sarebbe meno cruento per noi e più sensato per voi, rimuovere quella quantità di residui alimentari di lavorazione, che solitamente sono disseminati a terra negli stabilimenti industriali dove lei esercita, e che tanto ci attirano? Non le capita mai di pensare che se le strutture fossero chiuse come si deve e il prodotto finito adeguatamente protetto, per noi sarebbe difficile entrare e provocarvi danno?
_“Sì eccellenza”
_“E allora perché non lo fate?”
_“Ecco, vede eccellenza…per voi è difficile capire, ma suppongo che sia perché spargere esche costa meno ed è più semplice. .
Vede signor Topo Gigio, il nostro mondo funziona così: chi possiede un’impresa alimentare deve dimostrare ad eventuali controllori, siano essi istituzionali come le Asl o i Nas dei carabinieri, oppure privati come i clienti e gli enti di Certificazione della Qualità, che sta facendo tutto il possibile per mantenere le migliori condizioni igieniche all’interno del processo produttivo. Il poter vantare un servizio di derattizzazione specializzato è un modo per fornire la cosiddetta evidenza oggettiva di questa volontà. Questo è ciò che di solito interessa veramente ai nostri clienti, più che la reale efficacia dell’azione derattizzante. Detto con parole più semplici significa che spesso la derattizzazione è poco più di una farsa.”
_“aHaa! Questo è il tassello che mancava.
la voce dell’accusa irruppe stonata e insopportabilmente squillante –
Per ragioni di profitto personale l’imputato ammette di prender parte ad un rodenticidio continuato, senza nemmeno l’attenuante che ciò serva a proteggere effettivamente la propria specie. Mi ritengo soddisfatto di quanto sin qui accertato, Vostro Onore.”
Io invece mi ritenni confuso
_“No..ma cosa.. ma se ho detto prima che…insomma lo faccio per lavoro e..
Mi interruppe Mickey Mouse
_“Mi pare che i fatti siano sufficientemente chiari, imputato. Ha qualche dichiarazione finale prima che la giuria emetta la sua sentenza?”
_“No, Vostro Onore.”
Vidi tutti i topi della giuria disporsi in cerchio ed iniziare un fitto conciliabolo. Non saprei dire quanto durò. Probabilmente molto poco, ma a me sembrò che non finisse mai.
Fu uno dei topini di Cenerentola ad avvicinarsi al giudice per sussurrargli all’orecchio il verdetto.
Lui restò un attimo immobile, come assorto.
-Nessuna mosca avrebbe osato anche solo fingere, di voler alzarsi in volo-
Poi batté per una volta il martelletto sullo scranno e dichiarò.
_“La prego, si avvicini signore”
Mi avvicinai
_“Imputato, la sentenza è di condanna. La cosa è alquanto triste, ancorché ineccepibile. Lei per sua stessa ammissione ha commesso tutti i fatti che le sono stati contestati. Su questo non c’è il minimo dubbio. Tuttavia, se la sua preoccupazione è finire in prigione posso rassicurarla immediatamente: il carcere di Topolinia è costruito per un solo detenuto, Pietro Gambadilegno. Non c’è spazio per altri.”
Tacque per un attimo.
“D’altro canto, sono costretto ad aggiungere che anche nel resto di Topolinia non c’è spazio per lei.
Il tradimento dei suoi sogni di bambino, signor Pocobene, le costerà la pena di dover vivere in un mondo nel quale le carceri sono di cemento armato e acciaio, reali e affollate, le guerre sono infinite, i potenti si autoselezionano sulla base di efferatezza e mancanza di scrupoli, le gerarchie sono indiscutibili e vanno a suggellare l’eterno dominio dell’uomo sull’uomo.
In poche parole: la rimandiamo a casa.”
Da quel punto in poi non ricordo più nulla.
Mi risvegliai che ero già sul furgone della ditta, davanti alla grande fabbrica di pomodoro.
(un racconto di Natale)
Ma Topo Gigio non era un sempliciotto? Ma proprio con me doveva prendersela porc*$ª**?
“Mi è difficile non condividerla eccellenza, ma cerchi di capirci: oggi come oggi gli stabilimenti alimentari, la produzione industriale, sono indispensabili a garantirci la sicurezza alimentare. Le malattie che voi potreste propagare sono un fatto. E poi: mi risulta che in alcune nazioni del Terzo Mondo un quinto delle derrate alimentari sia divorato o reso inservibile dai roditori
Cos’altro potremmo fare?”
Di nuovo ci fu bailamme
“Non cerchi per favore di spostare l’argomento del dibattimento dalle sue colpe individuali al discorso sociale. E’ un espediente logoro.
Comunque, se proprio lo vogliamo affrontare, ancora una volta imputato sono costretto a ricordarle che siete vittime della vostra stessa dissennatezza: nel Terzo Mondo foreste, paludi, savane, habitat naturale di molti nostri predatori, sono state distrutte – e di questo vi ringraziamo - per insediare monocolture destinate all’esportazione.
Veniamo poi alle cose che più direttamente la riguardano: le capita mai di pensare che anziché spargere esche avvelenate, sarebbe meno cruento per noi e più sensato per voi, rimuovere quella quantità di residui alimentari di lavorazione, che solitamente sono disseminati a terra negli stabilimenti industriali dove lei esercita, e che tanto ci attirano? Non le capita mai di pensare che se le strutture fossero chiuse come si deve e il prodotto finito adeguatamente protetto, per noi sarebbe difficile entrare e provocarvi danno?
_“Sì eccellenza”
_“E allora perché non lo fate?”
_“Ecco, vede eccellenza…per voi è difficile capire, ma suppongo che sia perché spargere esche costa meno ed è più semplice. .
Vede signor Topo Gigio, il nostro mondo funziona così: chi possiede un’impresa alimentare deve dimostrare ad eventuali controllori, siano essi istituzionali come le Asl o i Nas dei carabinieri, oppure privati come i clienti e gli enti di Certificazione della Qualità, che sta facendo tutto il possibile per mantenere le migliori condizioni igieniche all’interno del processo produttivo. Il poter vantare un servizio di derattizzazione specializzato è un modo per fornire la cosiddetta evidenza oggettiva di questa volontà. Questo è ciò che di solito interessa veramente ai nostri clienti, più che la reale efficacia dell’azione derattizzante. Detto con parole più semplici significa che spesso la derattizzazione è poco più di una farsa.”
_“aHaa! Questo è il tassello che mancava.
la voce dell’accusa irruppe stonata e insopportabilmente squillante –
Per ragioni di profitto personale l’imputato ammette di prender parte ad un rodenticidio continuato, senza nemmeno l’attenuante che ciò serva a proteggere effettivamente la propria specie. Mi ritengo soddisfatto di quanto sin qui accertato, Vostro Onore.”
Io invece mi ritenni confuso
_“No..ma cosa.. ma se ho detto prima che…insomma lo faccio per lavoro e..
Mi interruppe Mickey Mouse
_“Mi pare che i fatti siano sufficientemente chiari, imputato. Ha qualche dichiarazione finale prima che la giuria emetta la sua sentenza?”
_“No, Vostro Onore.”
Vidi tutti i topi della giuria disporsi in cerchio ed iniziare un fitto conciliabolo. Non saprei dire quanto durò. Probabilmente molto poco, ma a me sembrò che non finisse mai.
Fu uno dei topini di Cenerentola ad avvicinarsi al giudice per sussurrargli all’orecchio il verdetto.
Lui restò un attimo immobile, come assorto.
-Nessuna mosca avrebbe osato anche solo fingere, di voler alzarsi in volo-
Poi batté per una volta il martelletto sullo scranno e dichiarò.
_“La prego, si avvicini signore”
Mi avvicinai
_“Imputato, la sentenza è di condanna. La cosa è alquanto triste, ancorché ineccepibile. Lei per sua stessa ammissione ha commesso tutti i fatti che le sono stati contestati. Su questo non c’è il minimo dubbio. Tuttavia, se la sua preoccupazione è finire in prigione posso rassicurarla immediatamente: il carcere di Topolinia è costruito per un solo detenuto, Pietro Gambadilegno. Non c’è spazio per altri.”
Tacque per un attimo.
“D’altro canto, sono costretto ad aggiungere che anche nel resto di Topolinia non c’è spazio per lei.
Il tradimento dei suoi sogni di bambino, signor Pocobene, le costerà la pena di dover vivere in un mondo nel quale le carceri sono di cemento armato e acciaio, reali e affollate, le guerre sono infinite, i potenti si autoselezionano sulla base di efferatezza e mancanza di scrupoli, le gerarchie sono indiscutibili e vanno a suggellare l’eterno dominio dell’uomo sull’uomo.
In poche parole: la rimandiamo a casa.”
Da quel punto in poi non ricordo più nulla.
Mi risvegliai che ero già sul furgone della ditta, davanti alla grande fabbrica di pomodoro.
Friday, December 27, 2002
Il processo
(un racconto di Natale) - 2a puntata
A quella accusa scoppiai in un pianto a dirotto.
Ma il pubblico ministero non si lasciò impietosire.
_”La faccia finita, imputato. Tanto qui non si commuove nessuno. Ci doveva pensare prima, quando era ora, a non accettare quel mestiere”
_”Sono colpevole eccellenza, sono colpevole…ma io non credevo…io ero disoccupato, cercavo solo un lavoro. Mi hanno offerto quello e ho accettato. Tutto qui, ecco.”
Singhiozzavo.
_“Ma la smetta con queste scuse ipocrite. Ci vuole poco per smontarle, sa? Mi risulta che nella città dove lei vive, Momena…Midena…"
_“Mo..Modena, eccellenza”
_“Ecco..sì, quella lì. Mi risulta che il tasso di disoccupazione sia tra i più bassi del suo continente. E’ vero questo?”
Questa domanda ebbe l'effetto di un colpo di sciabola tra i denti. Capii dove voleva andare a parare il pubblico ministero. Capii che le cose, se possibile, si facevano ancora più difficili.
_”E lei vuole dunque far credere alla corte che - posto che ciò possa costituire un attenuante - non le sarebbe stato possibile trovare un lavoro diverso?”
Oh, oh. E ora cosa dico? (furono attimi lunghi come ere geologiche)
_“Forse sì eccellenza, forse sì. Ma cerchi di capire, i vostri amici roditori, sicuramente inconsapevolmente e loro malgrado sono per noi umani un potenziale pericolo. Sono veicolo di malattie, di infezioni. Guardi sta scritto su libri importanti, da La peste di Camus fino ai Promessi sposi del Manzoni. E le ho citato due nomi di un certo peso, non so se mi capisce…
Mi sembrò per un attimo che stavolta l’accusa accusasse il colpo. Allora volli rilanciare
_“E poi non è vero che siete così pacifici. Il ratto può essere aggressivo e mordere, con conseguenze persino letali per l’uomo.”
A quella obiezione in aula si scatenò il pandemonio. Vidi il pubblico cominciare a squittire tutto insieme rivolto al mio indirizzo. Michey Mouse dovette minacciare un paio di volte di far sgomberare l’aula per riportare la tranquillità. Qualcuno tentò di scavalcare la ringhiera in legno che delimitava il settore degli spettatori, ma fu prontamente bloccato da Superpippo, nella sua veste di sovrintendente alla sicurezza dell’udienza.
Quando il dibattimento potè riprendere la voce dell’accusatore assunse un tono decisamente più pacato e solenne.
_ “No imputato, lei sbaglia. Qui a Topolinia topi e umani convivono pacificamente. Per molti secoli anche nella vostra realtà è stato così. Noi abitavamo le campagne e rosicchiavamo i vegetali che trovavamo nei campi. Certo, poteva scapparci qualche incursione nelle vostre cantine, ma non recavamo praticamente alcun disturbo. Poi gli umani si sono messi a creare quegli enormi agglomerati che si chiamano città. E con esse, ad ammassare quantità di cibo quali mai si erano viste nei depositi alimentari e a scaricare grassi commestibili nelle fognature. Noi, che forse siamo di bocca buona, li abbiamo graditi. Ci siamo nutriti coi vostri scarti e siamo cresciuti.
Con la società industriale moderna questa tendenza ha avuto un ulteriore salto di qualità.
Avete cominciato a produrre il cibo in mastodontici stabilimenti industiali e ad ammassare smisurate quantità di rifiuti nelle vostre discariche. Così facendo ci avete fatti moltiplicare a dismisura. Siete voi che ci avete fatto moltiplicare, a noi non è mai interessato. Condivide questa analisi imputato?”
Ma Topo Gigio non era un sempliciotto? Ma proprio con me doveva prendersela porc*$ª**?
(continua)
(un racconto di Natale) - 2a puntata
A quella accusa scoppiai in un pianto a dirotto.
Ma il pubblico ministero non si lasciò impietosire.
_”La faccia finita, imputato. Tanto qui non si commuove nessuno. Ci doveva pensare prima, quando era ora, a non accettare quel mestiere”
_”Sono colpevole eccellenza, sono colpevole…ma io non credevo…io ero disoccupato, cercavo solo un lavoro. Mi hanno offerto quello e ho accettato. Tutto qui, ecco.”
Singhiozzavo.
_“Ma la smetta con queste scuse ipocrite. Ci vuole poco per smontarle, sa? Mi risulta che nella città dove lei vive, Momena…Midena…"
_“Mo..Modena, eccellenza”
_“Ecco..sì, quella lì. Mi risulta che il tasso di disoccupazione sia tra i più bassi del suo continente. E’ vero questo?”
Questa domanda ebbe l'effetto di un colpo di sciabola tra i denti. Capii dove voleva andare a parare il pubblico ministero. Capii che le cose, se possibile, si facevano ancora più difficili.
_”E lei vuole dunque far credere alla corte che - posto che ciò possa costituire un attenuante - non le sarebbe stato possibile trovare un lavoro diverso?”
Oh, oh. E ora cosa dico? (furono attimi lunghi come ere geologiche)
_“Forse sì eccellenza, forse sì. Ma cerchi di capire, i vostri amici roditori, sicuramente inconsapevolmente e loro malgrado sono per noi umani un potenziale pericolo. Sono veicolo di malattie, di infezioni. Guardi sta scritto su libri importanti, da La peste di Camus fino ai Promessi sposi del Manzoni. E le ho citato due nomi di un certo peso, non so se mi capisce…
Mi sembrò per un attimo che stavolta l’accusa accusasse il colpo. Allora volli rilanciare
_“E poi non è vero che siete così pacifici. Il ratto può essere aggressivo e mordere, con conseguenze persino letali per l’uomo.”
A quella obiezione in aula si scatenò il pandemonio. Vidi il pubblico cominciare a squittire tutto insieme rivolto al mio indirizzo. Michey Mouse dovette minacciare un paio di volte di far sgomberare l’aula per riportare la tranquillità. Qualcuno tentò di scavalcare la ringhiera in legno che delimitava il settore degli spettatori, ma fu prontamente bloccato da Superpippo, nella sua veste di sovrintendente alla sicurezza dell’udienza.
Quando il dibattimento potè riprendere la voce dell’accusatore assunse un tono decisamente più pacato e solenne.
_ “No imputato, lei sbaglia. Qui a Topolinia topi e umani convivono pacificamente. Per molti secoli anche nella vostra realtà è stato così. Noi abitavamo le campagne e rosicchiavamo i vegetali che trovavamo nei campi. Certo, poteva scapparci qualche incursione nelle vostre cantine, ma non recavamo praticamente alcun disturbo. Poi gli umani si sono messi a creare quegli enormi agglomerati che si chiamano città. E con esse, ad ammassare quantità di cibo quali mai si erano viste nei depositi alimentari e a scaricare grassi commestibili nelle fognature. Noi, che forse siamo di bocca buona, li abbiamo graditi. Ci siamo nutriti coi vostri scarti e siamo cresciuti.
Con la società industriale moderna questa tendenza ha avuto un ulteriore salto di qualità.
Avete cominciato a produrre il cibo in mastodontici stabilimenti industiali e ad ammassare smisurate quantità di rifiuti nelle vostre discariche. Così facendo ci avete fatti moltiplicare a dismisura. Siete voi che ci avete fatto moltiplicare, a noi non è mai interessato. Condivide questa analisi imputato?”
Ma Topo Gigio non era un sempliciotto? Ma proprio con me doveva prendersela porc*$ª**?
(continua)
Tuesday, December 24, 2002
Il processo
(un racconto di Natale)
Mi risvegliai che ero già in tribunale, davanti alla corte.
Mi fu sufficiente uno sguardo al banco della giuria popolare per capire dove mi trovavo. Avevo riconosciuto senza ombra di dubbio alcuni dei membri: Bianca&Bernie, poi Minnie e, in ultima fila, i topini di Cenerentola. Non poteva che trattarsi del foro di Topolinia.
Alzando gli occhi verso lo scranno del giudice ne ebbi la conferma: Michey Mouse in persona.
Allora stavo veramente in un grosso guaio.
Mi girai a scrutare il pubblico e scorsi, tra gli altri, Speedy Gonzales, Tip&Tap e Geronimo Stilton, il giornalista dell’Eco del Roditore di Topazia.
In quell’istante mi tornò alla mente tutta la storia. Erano state le indagini di quel fottutissimo Basil l’investigatopo a incastrarmi. Il commissario Basettoni non aveva potuto far altro che trarne le conseguenze e arrestarmi. Mai nella mia vita la frase “Manetta, manette!” mi era sembrata così truce.
Adesso dovevo rispondere delle accuse di Derattizzazione aggravata e continuata e di Rodenticidio plurimo premeditato mediante avvelenamento.
Accuse estremamente gravi per il diritto penale di Topolinia.
Il mio primo tentativo di autodifesa fu naturalmente l’invocazione del legittimo sospetto: la giuria poteva essermi pregiudizialmente ostile solo perché da piccolo avevo sempre preferito le storie dei paperi.
_“Chiedo che il processo venga spostato a Paperopoli”
Non ebbi successo, si misero tutti a squittire.
_“Imputato, in questa città la giustizia è una cosa seria. Limiti la sua difesa alla contestazione dei fatti che le vengono attribuiti”
Il rappresentante della pubblica accusa, Topo Gigio, fu il primo a prendere la parola.
_“Il qui presente imputato, Davide Pocobene, fa parte della peggior specie degli umani: da piccolo si nutriva con fiabe, cartoons e fumetti che avevano alcuni dei qui presenti come protagonisti. Noi abbiamo sempre allietato la sua infanzia senza pretendere nulla in cambio. Ora che è cresciuto ha scelto di diventare uno sterminatore professionista dei nostri simili. Per giunta nel modo più vigliacco: egli semina cibo appetitoso ma avvelenato in supermercati e stabilimenti industriali provocando devastanti stragi tra la nostra specie. Ma non è tutto: le prove raccolte da questo ufficio dimostrano che in taluni casi la sua perfidia è arrivata persino ad avvelenare l’acqua delle pozze nelle quali gli innocenti ratti si dissetavano”
_“Sì, ma io…”
_”Imputato non mi interrompa. Non sono ancora giunto ad illustrare ai giurati la più crudele, infame e degradante delle azioni da lei abitualmente commesse.
Sappia dunque questa corte che il qui presente imputato è solito apporre lungo i perimetri di alcuni dei luoghi nei quali esercita la sua, diciamo così, “professione”, le tristemente famose trappole collante. Si tratta di tavolette di plastica all’apparenza innocue, ma contenenti sostanze talmente vischiose che una volta entrati non si riesce più a uscirne. E si rimane lì, morendo di inedia o soffocamento tra atroci sofferenze.”
A quella accusa scoppiai in un pianto a dirotto.
Ma il pubblico ministero non si lasciò impietosire.
_”La faccia finita, imputato. Tanto qui non si commuove nessuno. Ci doveva pensare prima, quando era ora, a non accettare quel mestiere”
(continua)
(un racconto di Natale)
Mi risvegliai che ero già in tribunale, davanti alla corte.
Mi fu sufficiente uno sguardo al banco della giuria popolare per capire dove mi trovavo. Avevo riconosciuto senza ombra di dubbio alcuni dei membri: Bianca&Bernie, poi Minnie e, in ultima fila, i topini di Cenerentola. Non poteva che trattarsi del foro di Topolinia.
Alzando gli occhi verso lo scranno del giudice ne ebbi la conferma: Michey Mouse in persona.
Allora stavo veramente in un grosso guaio.
Mi girai a scrutare il pubblico e scorsi, tra gli altri, Speedy Gonzales, Tip&Tap e Geronimo Stilton, il giornalista dell’Eco del Roditore di Topazia.
In quell’istante mi tornò alla mente tutta la storia. Erano state le indagini di quel fottutissimo Basil l’investigatopo a incastrarmi. Il commissario Basettoni non aveva potuto far altro che trarne le conseguenze e arrestarmi. Mai nella mia vita la frase “Manetta, manette!” mi era sembrata così truce.
Adesso dovevo rispondere delle accuse di Derattizzazione aggravata e continuata e di Rodenticidio plurimo premeditato mediante avvelenamento.
Accuse estremamente gravi per il diritto penale di Topolinia.
Il mio primo tentativo di autodifesa fu naturalmente l’invocazione del legittimo sospetto: la giuria poteva essermi pregiudizialmente ostile solo perché da piccolo avevo sempre preferito le storie dei paperi.
_“Chiedo che il processo venga spostato a Paperopoli”
Non ebbi successo, si misero tutti a squittire.
_“Imputato, in questa città la giustizia è una cosa seria. Limiti la sua difesa alla contestazione dei fatti che le vengono attribuiti”
Il rappresentante della pubblica accusa, Topo Gigio, fu il primo a prendere la parola.
_“Il qui presente imputato, Davide Pocobene, fa parte della peggior specie degli umani: da piccolo si nutriva con fiabe, cartoons e fumetti che avevano alcuni dei qui presenti come protagonisti. Noi abbiamo sempre allietato la sua infanzia senza pretendere nulla in cambio. Ora che è cresciuto ha scelto di diventare uno sterminatore professionista dei nostri simili. Per giunta nel modo più vigliacco: egli semina cibo appetitoso ma avvelenato in supermercati e stabilimenti industriali provocando devastanti stragi tra la nostra specie. Ma non è tutto: le prove raccolte da questo ufficio dimostrano che in taluni casi la sua perfidia è arrivata persino ad avvelenare l’acqua delle pozze nelle quali gli innocenti ratti si dissetavano”
_“Sì, ma io…”
_”Imputato non mi interrompa. Non sono ancora giunto ad illustrare ai giurati la più crudele, infame e degradante delle azioni da lei abitualmente commesse.
Sappia dunque questa corte che il qui presente imputato è solito apporre lungo i perimetri di alcuni dei luoghi nei quali esercita la sua, diciamo così, “professione”, le tristemente famose trappole collante. Si tratta di tavolette di plastica all’apparenza innocue, ma contenenti sostanze talmente vischiose che una volta entrati non si riesce più a uscirne. E si rimane lì, morendo di inedia o soffocamento tra atroci sofferenze.”
A quella accusa scoppiai in un pianto a dirotto.
Ma il pubblico ministero non si lasciò impietosire.
_”La faccia finita, imputato. Tanto qui non si commuove nessuno. Ci doveva pensare prima, quando era ora, a non accettare quel mestiere”
(continua)
Saturday, December 14, 2002
« Quanno ce vò ce vò » (Christian De Sica)
Un banale episodio capitatomi l’altro giorno, durante il lavoro, mi spinge a fare qualche breve considerazione sul tema dell’immigrazione.
Naturalmente con la consueta serenità e pacatezza.
Orbene: io spero che quelle grandissime teste di cazzo di commercianti, gondolieri posticci e politicanti cialtroni, che immersi nelle terze Jacuzzi delle loro quinte case, fanno appelli perché gli italiani non comprino la merce venduta abusivamente dagli immigrati clandestini, siano costretti a emigrare a 50 anni, coi capelli già brizzolati, come il magrebino che ho incontrato io fuori da una grande catena di supermercati.
E come lui siano costretti a vendere centrini e cinafrusaglie all’esterno di un centro commerciale con una temperatura intorno ai 3 gradi.
Che con lo stesso sforzo debbano sudarsi un sorriso per offrirlo ai clienti del supermercato, intenti a caricare velocemente la roba in macchina e a non incrociarne lo sguardo.
Che con la stessa cantilena stentanta debbano ripetere “ buon Natale.. buon Natale..” per cercare di impietosirli. (sì, mi ha fatto pena, lo ammetto)
O meglio: buon Ramadan, perché io auguro loro di dover emigrare in un paese arabo, gelido e democratico.
Arabo, in modo che debbano farsi un mazzo tanto per capire, ma capire con difficoltà, i discorsi dei nativi e per saper spiaccicare due parole nella loro lingua.
Gelido, in modo che alla solitudine materiale delle loro esistenze si accompagni il clima esteriore più consono alla situazione.
Democratico, in modo che sia possibile ai suoi abitanti eleggere democraticamente un enorme pezzo di merda come potrebbe essere in Italia il sindaco di Treviso Gentilini, quello che toglie le panchine dalle piazze perché non ci si siedano i culi neri. O come l’ex onorevole Borghezio, quello che «nel nostro Paese dobbiamo comandare noi, non possono venire da fuori a rubarci il posto e a imbastardire il nostro sangue»
Spero poi che ogni sera, tornati a casa dal lavoro che ho auspicato, abbiano modo di seguire la televisione del paese che ho descritto. In modo da ascoltare gli ipocriti da talk show, quelli del li-vogliamo-aiutare-sì-ma-a-casa-loro e solidarietà-sì-ma-nella-legalità:che tornino nei loro paesi e imparino a mangiare quella. Che tra l’altro è buonissima.
Possibile che in questo mondo di web, umts e mappatura del genoma nessuno riesca a inventare una cazzo di frontiera che discrimini la decenza delle persone anziché la loro provenienza geografica?
Un banale episodio capitatomi l’altro giorno, durante il lavoro, mi spinge a fare qualche breve considerazione sul tema dell’immigrazione.
Naturalmente con la consueta serenità e pacatezza.
Orbene: io spero che quelle grandissime teste di cazzo di commercianti, gondolieri posticci e politicanti cialtroni, che immersi nelle terze Jacuzzi delle loro quinte case, fanno appelli perché gli italiani non comprino la merce venduta abusivamente dagli immigrati clandestini, siano costretti a emigrare a 50 anni, coi capelli già brizzolati, come il magrebino che ho incontrato io fuori da una grande catena di supermercati.
E come lui siano costretti a vendere centrini e cinafrusaglie all’esterno di un centro commerciale con una temperatura intorno ai 3 gradi.
Che con lo stesso sforzo debbano sudarsi un sorriso per offrirlo ai clienti del supermercato, intenti a caricare velocemente la roba in macchina e a non incrociarne lo sguardo.
Che con la stessa cantilena stentanta debbano ripetere “ buon Natale.. buon Natale..” per cercare di impietosirli. (sì, mi ha fatto pena, lo ammetto)
O meglio: buon Ramadan, perché io auguro loro di dover emigrare in un paese arabo, gelido e democratico.
Arabo, in modo che debbano farsi un mazzo tanto per capire, ma capire con difficoltà, i discorsi dei nativi e per saper spiaccicare due parole nella loro lingua.
Gelido, in modo che alla solitudine materiale delle loro esistenze si accompagni il clima esteriore più consono alla situazione.
Democratico, in modo che sia possibile ai suoi abitanti eleggere democraticamente un enorme pezzo di merda come potrebbe essere in Italia il sindaco di Treviso Gentilini, quello che toglie le panchine dalle piazze perché non ci si siedano i culi neri. O come l’ex onorevole Borghezio, quello che «nel nostro Paese dobbiamo comandare noi, non possono venire da fuori a rubarci il posto e a imbastardire il nostro sangue»
Spero poi che ogni sera, tornati a casa dal lavoro che ho auspicato, abbiano modo di seguire la televisione del paese che ho descritto. In modo da ascoltare gli ipocriti da talk show, quelli del li-vogliamo-aiutare-sì-ma-a-casa-loro e solidarietà-sì-ma-nella-legalità:che tornino nei loro paesi e imparino a mangiare quella. Che tra l’altro è buonissima.
Possibile che in questo mondo di web, umts e mappatura del genoma nessuno riesca a inventare una cazzo di frontiera che discrimini la decenza delle persone anziché la loro provenienza geografica?
Sunday, December 08, 2002
Donne e topi
(e derattizzatori)
Proverbialmente c’è incompatibilità.
Secondo l’archetipo iconografico tradizionale alla vista anche del più piccolo topino ogni donna dovrebbe salire in cima al letto, a una sedia, a uno sgabello e mettersi a gridare di terrore. Poco male.
Ma alla vista di un derattizzatore? La questione per me, potrete ben immaginarlo, è tutt’altro che accademica. L’altro giorno stavo derattizzando una mensa che aveva un grave problema di ratti: gli animali si erano infiltrati persino nella canalina elettrica che scorre lungo le pareti della cucina.
Intento nel lavoro, percepivo comunque brandelli di discorso che, nella sala lavastoviglie, stavano facendo le cuoche.
Più o meno il tenore era questo:
_“Certo che andare a caccia di topi di mestiere…”
_“Beh… è un lavoro come un altro…”
_“Sì.. d’accordo, ma non è certo un lavoro affascinante”
_“Eh in effetti… pensa se hai un uomo che fa questo mestiere…cioè, quando torna a casa la sera.. non è che mi attizza...” (testuale - nda)
- risate –
Lì per lì mi sono venute in mente due cose:
1. Quel mio amico che dice che non riuscirò mai a trovare la morosa finchè faccio il derattizzatore
2. Giorgio Bocca, secondo il quale negli anni 50 i giovani si trasferivano in fabbrica dalle campagne perché chi lavora in campagna puzza di letame e chi puzza di letame non trova moglie
Poi mi è venuto in mente che io dovrei essere risarcito dello scarso appeal sessuale del mio mestiere.
Eh sì, perché subisco un danno importante. Quando si discute il Contratto Collettivo Nazionale della categoria dovrebbe essere introdotta una voce, che so:
Indennità di scarsa attività erotica ludica e riproduttiva: € tot
Integrazione difficoltà affettive e amatorie: € tot altri
Almeno avremmo diritto a un buono viaggio in un paese del terzo mondo, dove le donne non possono far tanto le difficili no?
“Un uomo senza un lavoro non è un uomo” dice il delegato sindacale. Il monsignore approva.
E infatti gli uomini non servono: ad attizzarci (pare) bastano le loro professioni.
(e derattizzatori)
Proverbialmente c’è incompatibilità.
Secondo l’archetipo iconografico tradizionale alla vista anche del più piccolo topino ogni donna dovrebbe salire in cima al letto, a una sedia, a uno sgabello e mettersi a gridare di terrore. Poco male.
Ma alla vista di un derattizzatore? La questione per me, potrete ben immaginarlo, è tutt’altro che accademica. L’altro giorno stavo derattizzando una mensa che aveva un grave problema di ratti: gli animali si erano infiltrati persino nella canalina elettrica che scorre lungo le pareti della cucina.
Intento nel lavoro, percepivo comunque brandelli di discorso che, nella sala lavastoviglie, stavano facendo le cuoche.
Più o meno il tenore era questo:
_“Certo che andare a caccia di topi di mestiere…”
_“Beh… è un lavoro come un altro…”
_“Sì.. d’accordo, ma non è certo un lavoro affascinante”
_“Eh in effetti… pensa se hai un uomo che fa questo mestiere…cioè, quando torna a casa la sera.. non è che mi attizza...” (testuale - nda)
- risate –
Lì per lì mi sono venute in mente due cose:
1. Quel mio amico che dice che non riuscirò mai a trovare la morosa finchè faccio il derattizzatore
2. Giorgio Bocca, secondo il quale negli anni 50 i giovani si trasferivano in fabbrica dalle campagne perché chi lavora in campagna puzza di letame e chi puzza di letame non trova moglie
Poi mi è venuto in mente che io dovrei essere risarcito dello scarso appeal sessuale del mio mestiere.
Eh sì, perché subisco un danno importante. Quando si discute il Contratto Collettivo Nazionale della categoria dovrebbe essere introdotta una voce, che so:
Indennità di scarsa attività erotica ludica e riproduttiva: € tot
Integrazione difficoltà affettive e amatorie: € tot altri
Almeno avremmo diritto a un buono viaggio in un paese del terzo mondo, dove le donne non possono far tanto le difficili no?
“Un uomo senza un lavoro non è un uomo” dice il delegato sindacale. Il monsignore approva.
E infatti gli uomini non servono: ad attizzarci (pare) bastano le loro professioni.
Friday, November 29, 2002
Uomini e topi
Il 29 Novembre di sessantaquattro anni fa Angelo Fortunato Formiggini - Formaggino da Modena, editore modenese ed ebreo si gettava dalla Ghirlandina, la torre campanaria del Duomo di Modena nonché simbolo della città, “per dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti”
Uomo bizzarro, “tra i meno noiosi della sua epoca” come amava autodefirsi. Innamorato dei libri fino a dilapidare il patrimonio della sua ricchissima famiglia, gioiellieri di corte quando Modena era un ducato, per fare l’editore.
Uomo fissato con il ridere: Filosofia del ridere si intitolava la tesi della sua seconda laurea e I classici del ridere sarà la collana di maggior successo della sua produzione editoriale.
Editore minore, come minore è la storia che lo riguarda.
“Un bel mattino di maggio del 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso (…), ero diventato editore”
Idealista sfigato, come talvolta lo sono gli uomini.
Morendo donerà la sua enorme collezione di volumi alla Biblioteca Estense. Il direttore, che formalmente riceverà la donazione dalla moglie, dovrà scrivere sul documento che sancisce il lascito: “Si precisa che la signora Emilia Santamaria è di razza ariana”
Non una riga sulla sua morte uscirà su L’Italia che scrive – la rivista bibliografica che aveva fondato e diretto - né sui giornali locali.
Uomini e topi, appunto.
Il 29 Novembre di sessantaquattro anni fa Angelo Fortunato Formiggini - Formaggino da Modena, editore modenese ed ebreo si gettava dalla Ghirlandina, la torre campanaria del Duomo di Modena nonché simbolo della città, “per dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti”
Uomo bizzarro, “tra i meno noiosi della sua epoca” come amava autodefirsi. Innamorato dei libri fino a dilapidare il patrimonio della sua ricchissima famiglia, gioiellieri di corte quando Modena era un ducato, per fare l’editore.
Uomo fissato con il ridere: Filosofia del ridere si intitolava la tesi della sua seconda laurea e I classici del ridere sarà la collana di maggior successo della sua produzione editoriale.
Editore minore, come minore è la storia che lo riguarda.
“Un bel mattino di maggio del 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso (…), ero diventato editore”
Idealista sfigato, come talvolta lo sono gli uomini.
Morendo donerà la sua enorme collezione di volumi alla Biblioteca Estense. Il direttore, che formalmente riceverà la donazione dalla moglie, dovrà scrivere sul documento che sancisce il lascito: “Si precisa che la signora Emilia Santamaria è di razza ariana”
Non una riga sulla sua morte uscirà su L’Italia che scrive – la rivista bibliografica che aveva fondato e diretto - né sui giornali locali.
Uomini e topi, appunto.
Wednesday, November 27, 2002
“Ma perché queste persone devono passare la loro vita sotto terra facendo un lavoro infame solo perché hanno una famiglia da mantenere? Aboliamo la famiglia e facciamola finita.”
Carmelo Bene – dichiarazione a proposito dei minatori del Sulcis Iglesiente
Carmelo Bene – dichiarazione a proposito dei minatori del Sulcis Iglesiente
Sunday, November 24, 2002
Zucchero e rivoluzione
Ma voi l’avete mai visto uno zuccherificio? Io no, fino a qualche settimana fa. Mi ci hanno portato motivi professionali.
La bassa pianura padana, soprattutto nella zona tra le province di Ferrara e Ravenna ne ospita un buon numero. Se vi capitasse di passare in auto nei pressi di uno di questi mostri fumanti, probabilmente vi farete già un’idea di che posto possa essere. Ma se avrete l’occasione di entrarci dal vivo, godendo di una visione del panorama particolareggiata fino al dettaglio, di immergervi negli effluvi e nei miasmi che lo avvolgono, avrete fatto un’ esperienza sensoriale oggi tutto sommato abbastanza elitaria.
Se vi fermerete alla superficie di questo esame per esprimere un giudizio, usciranno dalla vostra bocca solo parole di schifo per questi ambienti decrepiti e rugginosi, vetusti e puzzolenti, per queste architetture industriali aspiranti a un’ archeologia che solo una pervicace ostinazione al male può continuare a negare crudelmente. Ma se farete lo sforzo di andare un po’ più in là con la fantasia e immaginarvi questi posti quando furono creati, nella seconda metà del diciannovesimo secolo o nei primi decenni del ventesimo, forse sarete sulla buona strada per capire, o meglio, per intuire, le ragioni di uno dei fatti più misteriosi di quell’epoca. Un fatto talmente clamoroso che l’eco è giunta fino a noi: l’improvvisa esplosione dell’idea socialista in Europa. Il contagioso diffondersi della voglia di fare la rivoluzione.
Quando lo leggiamo a scuola, nelle ore di storia, l’occhio scivola sul paragrafo. E tutto resta banalmente scontato, vuoto, inafferrabile come tutte le verità rivelate.
Ma vederlo, vederlo è un’altra cosa. Io sono un tipo tranquillissimo. Credo che tutti lo siano, alla nascita. Ma non riesco a immaginare nessuno essere costretto a passare in un posto come quello otto o forse nove o forse dieci ore della sua giornata, per trenta o forse trentacinque o forse quarant’anni, senza volere almeno sgozzare il padrone con le proprie mani. Così, solo per puro piacere. Solo per vedere l’effetto che fa. Per non lasciare niente di intentato.
Avevano il bel da dirgli agli sventurati, che dopo, con il comunismo, sarebbe stato peggio. Quel che contava non era dopo: era durante.
Ho detto zuccherificio, ma naturalmente potevo dire (immagino..) petrolchimico o acciaieria o industria meccanica. L’idea di fare la rivoluzione è stata abbandonata quando queste immonde creature hanno cominciato la decadenza. Quando hanno perso la loro centralità. Quando hanno smesso di essere elemento rappresentativo del futuro, per assumere invece un ruolo di retroguardia residuale. (ma a tutt’oggi presente, eccome..)
Un po’ di tempo fa ho visto un film: Non mi basta mai, di Daniele Vicari. E’ un film-documentario sullo sciopero più lungo che ci fu nella storia della FIAT, correva l’anno 1980. Vengono intervistati alcuni degli operai che lo fecero e che ripercorrono la loro storia personale, dall’arrivo in fabbrica ai giorni nostri.
Tra le testimonianze mi ha colpito un' operaia che diceva:
“ Io venivo da un paesino del sud, sono arrivata a Torino e mi hanno assunto in FIAT, al reparto presse. Io non mi aspettavo una cosa così. Ma lei, (all’intervistatore NdA) l’ha mai vista lei una pressa?”
Io no.
Ma immaginandomi di immaginare, mi pongo questa domanda: com’è che nonostante i milioni e milioni di persone che hanno visto presse e zuccherifici, le rivoluzioni sono state così poche?
Ma voi l’avete mai visto uno zuccherificio? Io no, fino a qualche settimana fa. Mi ci hanno portato motivi professionali.
La bassa pianura padana, soprattutto nella zona tra le province di Ferrara e Ravenna ne ospita un buon numero. Se vi capitasse di passare in auto nei pressi di uno di questi mostri fumanti, probabilmente vi farete già un’idea di che posto possa essere. Ma se avrete l’occasione di entrarci dal vivo, godendo di una visione del panorama particolareggiata fino al dettaglio, di immergervi negli effluvi e nei miasmi che lo avvolgono, avrete fatto un’ esperienza sensoriale oggi tutto sommato abbastanza elitaria.
Se vi fermerete alla superficie di questo esame per esprimere un giudizio, usciranno dalla vostra bocca solo parole di schifo per questi ambienti decrepiti e rugginosi, vetusti e puzzolenti, per queste architetture industriali aspiranti a un’ archeologia che solo una pervicace ostinazione al male può continuare a negare crudelmente. Ma se farete lo sforzo di andare un po’ più in là con la fantasia e immaginarvi questi posti quando furono creati, nella seconda metà del diciannovesimo secolo o nei primi decenni del ventesimo, forse sarete sulla buona strada per capire, o meglio, per intuire, le ragioni di uno dei fatti più misteriosi di quell’epoca. Un fatto talmente clamoroso che l’eco è giunta fino a noi: l’improvvisa esplosione dell’idea socialista in Europa. Il contagioso diffondersi della voglia di fare la rivoluzione.
Quando lo leggiamo a scuola, nelle ore di storia, l’occhio scivola sul paragrafo. E tutto resta banalmente scontato, vuoto, inafferrabile come tutte le verità rivelate.
Ma vederlo, vederlo è un’altra cosa. Io sono un tipo tranquillissimo. Credo che tutti lo siano, alla nascita. Ma non riesco a immaginare nessuno essere costretto a passare in un posto come quello otto o forse nove o forse dieci ore della sua giornata, per trenta o forse trentacinque o forse quarant’anni, senza volere almeno sgozzare il padrone con le proprie mani. Così, solo per puro piacere. Solo per vedere l’effetto che fa. Per non lasciare niente di intentato.
Avevano il bel da dirgli agli sventurati, che dopo, con il comunismo, sarebbe stato peggio. Quel che contava non era dopo: era durante.
Ho detto zuccherificio, ma naturalmente potevo dire (immagino..) petrolchimico o acciaieria o industria meccanica. L’idea di fare la rivoluzione è stata abbandonata quando queste immonde creature hanno cominciato la decadenza. Quando hanno perso la loro centralità. Quando hanno smesso di essere elemento rappresentativo del futuro, per assumere invece un ruolo di retroguardia residuale. (ma a tutt’oggi presente, eccome..)
Un po’ di tempo fa ho visto un film: Non mi basta mai, di Daniele Vicari. E’ un film-documentario sullo sciopero più lungo che ci fu nella storia della FIAT, correva l’anno 1980. Vengono intervistati alcuni degli operai che lo fecero e che ripercorrono la loro storia personale, dall’arrivo in fabbrica ai giorni nostri.
Tra le testimonianze mi ha colpito un' operaia che diceva:
“ Io venivo da un paesino del sud, sono arrivata a Torino e mi hanno assunto in FIAT, al reparto presse. Io non mi aspettavo una cosa così. Ma lei, (all’intervistatore NdA) l’ha mai vista lei una pressa?”
Io no.
Ma immaginandomi di immaginare, mi pongo questa domanda: com’è che nonostante i milioni e milioni di persone che hanno visto presse e zuccherifici, le rivoluzioni sono state così poche?
Thursday, November 14, 2002
La vendetta del topo
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il mio lavoro è di solito abbastanza pulito. Sporchi sono semmai i luoghi in cui si svolge.
Sostanzialmente funziona così: lungo le pareti dei magazzini di supermercati e stabilimenti industriali ci sono scatolette e box, di plastica o metallici. (non lo sapevate?) . All’interno di questi contenitori c’è un’ esca avvelenata messa lì per il topo. Ogni tanto passo io e controllo. Se l’esca c’è ancora, bene. Se è stata mangiata la sostituisco. Semplice no? E pulito come i guanti monouso in lattice che indosso.
C’è però almeno un giorno al mese in cui il mestiere mi rinfaccia impietoso quello che realmente sono: uno sterminatore. E’ il giorno in cui vado alla C*******, una grande fabbrica di trasformazione del pomodoro, nel nord Italia.
E qui apro una parentesi: le fabbriche di pomodoro hanno tutte problemi di infestazione di topi. (non lo sapevate?) . Io ne ho viste tre, di cui una di una marca molto famosa. Due (tra cui quella della grande marca) hanno strutture vecchie, cadenti, sono lerce. Quella di cui vi sto parlando è la migliore tra quelle che ho visitato: c’è un responsabile molto meticoloso.
Lì la derattizzazione è strutturata in questo modo: all’esterno dello stabilimento ci sono i soliti box con le solite esche velenose. Ma dentro piazzano solo vaschette di colla.
_ Sa, se diamo l’esca avvelenata a un topo che sta già dentro, c’è il rischio che vada a morire nei bancali. E poi al cliente gli arriva il bancale coi fusti del prodotto finito e in mezzo ci trova un topo…
_ Capisco…
Invece se il topo passa su una vaschetta rimane incollato lì. Non si muove più.
O meglio: prova a muoversi. Cerca di divincolarsi, ma rimane sempre più invischiato. Non si stacca. E alla fine dentro la colla ci lascia la pelle. Ce la lascia letteralmente, assieme al pelo, nel penoso tentativo di liberarsi.
Io faccio il giro delle vaschette con una borsa e un grande sacco nero. Nella borsa ho le colle fresche, nel sacco getto quelle vecchie con il loro contenuto. E’ un gesto che vuol’essere il più rapido possibile. Con gli occhi girati dall’altra parte per vedere il meno possibile dello spettacolo. Ma la colla si attacca alle pareti del sacco. E così bisogna scuoterla la vaschetta. E bisogna guardare.
Mano a mano che si procede il sacco cominicia a puzzare. Tutte le volte che si spalanca, inavvertitamente o per necessità, ne esce un fetore che ho imparato a riconoscere. E’ odore di carni in putrefazione, che mi segue per tutto il tragitto.
L’ultima volta mi avvicina un magazziniere-carrellista.
_ Io il tuo mestiere non lo farei mai, sarà perché io amo gli animali..
_ Anch’io amo gli animali, ma coi topi…? Sa, è un industria alimentare…fate il pomodoro…
Certo, preferirei le esche anch’io ma [ e gli spiego la filosofia del topo nel bancale ]
_ Pensi che quando giriamo per i magazzini li sentiamo piangere. Sono lì incollati che agonizzano e piangono di disperazione. Hanno gli occhi rossi rossi.
Io lavoro dieci ore al giorno. Siamo indietro coi servizi e miei datori di lavoro vogliono che faccia di più. Se no arrivano le note di credito a fine anno, devono scontare ai clienti gli interventi non effettuati.
E così insistono che lavori di più, che faccia più ore, che sia più veloce nel servizio.
I nostri agenti commerciali vendono, vendono, vendono. Spingono sul fatturato
E intanto i topi urlano nei magazzini.
A me ultimamente capita spesso di sognare topi e insetti che escono dal sottosuolo. Se vedo qualcosa in terra che non capisco cosa sia, per esempio lungo la strada, di passaggio, di sfuggita, mi viene sempre istintivamente di fare un balzo, pensando che sia un topo. Deformazione professionale certo, ma forse qualcosa di più.
E’ la vendetta del topo: io lo uccido ma lui mi insegue nella vita. Mi provoca allucinazioni. Si ficca nei miei sogni. Non intesi nel senso di desideri reconditi, ma proprio nei sogni che si fanno alla notte. Quelli che vengono dal profondo, dal subconscio.
“I padroni vi rubano otto ore di sole” urlano tutte le mattine agli operai gli studenti del movimento nel film La classe operaia va in paradiso
I datori di lavoro invece, con me, talvolta si prendono anche la notte.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il mio lavoro è di solito abbastanza pulito. Sporchi sono semmai i luoghi in cui si svolge.
Sostanzialmente funziona così: lungo le pareti dei magazzini di supermercati e stabilimenti industriali ci sono scatolette e box, di plastica o metallici. (non lo sapevate?) . All’interno di questi contenitori c’è un’ esca avvelenata messa lì per il topo. Ogni tanto passo io e controllo. Se l’esca c’è ancora, bene. Se è stata mangiata la sostituisco. Semplice no? E pulito come i guanti monouso in lattice che indosso.
C’è però almeno un giorno al mese in cui il mestiere mi rinfaccia impietoso quello che realmente sono: uno sterminatore. E’ il giorno in cui vado alla C*******, una grande fabbrica di trasformazione del pomodoro, nel nord Italia.
E qui apro una parentesi: le fabbriche di pomodoro hanno tutte problemi di infestazione di topi. (non lo sapevate?) . Io ne ho viste tre, di cui una di una marca molto famosa. Due (tra cui quella della grande marca) hanno strutture vecchie, cadenti, sono lerce. Quella di cui vi sto parlando è la migliore tra quelle che ho visitato: c’è un responsabile molto meticoloso.
Lì la derattizzazione è strutturata in questo modo: all’esterno dello stabilimento ci sono i soliti box con le solite esche velenose. Ma dentro piazzano solo vaschette di colla.
_ Sa, se diamo l’esca avvelenata a un topo che sta già dentro, c’è il rischio che vada a morire nei bancali. E poi al cliente gli arriva il bancale coi fusti del prodotto finito e in mezzo ci trova un topo…
_ Capisco…
Invece se il topo passa su una vaschetta rimane incollato lì. Non si muove più.
O meglio: prova a muoversi. Cerca di divincolarsi, ma rimane sempre più invischiato. Non si stacca. E alla fine dentro la colla ci lascia la pelle. Ce la lascia letteralmente, assieme al pelo, nel penoso tentativo di liberarsi.
Io faccio il giro delle vaschette con una borsa e un grande sacco nero. Nella borsa ho le colle fresche, nel sacco getto quelle vecchie con il loro contenuto. E’ un gesto che vuol’essere il più rapido possibile. Con gli occhi girati dall’altra parte per vedere il meno possibile dello spettacolo. Ma la colla si attacca alle pareti del sacco. E così bisogna scuoterla la vaschetta. E bisogna guardare.
Mano a mano che si procede il sacco cominicia a puzzare. Tutte le volte che si spalanca, inavvertitamente o per necessità, ne esce un fetore che ho imparato a riconoscere. E’ odore di carni in putrefazione, che mi segue per tutto il tragitto.
L’ultima volta mi avvicina un magazziniere-carrellista.
_ Io il tuo mestiere non lo farei mai, sarà perché io amo gli animali..
_ Anch’io amo gli animali, ma coi topi…? Sa, è un industria alimentare…fate il pomodoro…
Certo, preferirei le esche anch’io ma [ e gli spiego la filosofia del topo nel bancale ]
_ Pensi che quando giriamo per i magazzini li sentiamo piangere. Sono lì incollati che agonizzano e piangono di disperazione. Hanno gli occhi rossi rossi.
Io lavoro dieci ore al giorno. Siamo indietro coi servizi e miei datori di lavoro vogliono che faccia di più. Se no arrivano le note di credito a fine anno, devono scontare ai clienti gli interventi non effettuati.
E così insistono che lavori di più, che faccia più ore, che sia più veloce nel servizio.
I nostri agenti commerciali vendono, vendono, vendono. Spingono sul fatturato
E intanto i topi urlano nei magazzini.
A me ultimamente capita spesso di sognare topi e insetti che escono dal sottosuolo. Se vedo qualcosa in terra che non capisco cosa sia, per esempio lungo la strada, di passaggio, di sfuggita, mi viene sempre istintivamente di fare un balzo, pensando che sia un topo. Deformazione professionale certo, ma forse qualcosa di più.
E’ la vendetta del topo: io lo uccido ma lui mi insegue nella vita. Mi provoca allucinazioni. Si ficca nei miei sogni. Non intesi nel senso di desideri reconditi, ma proprio nei sogni che si fanno alla notte. Quelli che vengono dal profondo, dal subconscio.
“I padroni vi rubano otto ore di sole” urlano tutte le mattine agli operai gli studenti del movimento nel film La classe operaia va in paradiso
I datori di lavoro invece, con me, talvolta si prendono anche la notte.
Sunday, November 10, 2002
Intro
Salve, mi chiamo Davide Pocobene, ho 30 anni e di mestiere faccio il derattizzatore.
A volte anche il disinfestatore. Però meno, perché anche se la ditta per cui lavoro tende a vendere i due servizi in abbinamento, poi mi dice che se il cliente non se ne accorge devo fare solo quello derattizzante.
Insomma, truffo i clienti sì. Ma questo l’ho già raccontato in un altro blog.
ilderattizzatore in un certo senso ne rappresenta il proseguimento. Con la differenza che allora ero un disoccupato, mentre ora ho una professione e tutto quello che ciò comporta.
Può darsi che vi paia poco serio prestare attenzione alle considerazioni di un killer di topi. Pensate però alle persone importanti, capi di stato e presidenti vari, che ascoltate tutti i giorni al telegiornale. In fin dei conti sono miei colleghi: trattiamo solo specie diverse, no?
Salve, mi chiamo Davide Pocobene, ho 30 anni e di mestiere faccio il derattizzatore.
A volte anche il disinfestatore. Però meno, perché anche se la ditta per cui lavoro tende a vendere i due servizi in abbinamento, poi mi dice che se il cliente non se ne accorge devo fare solo quello derattizzante.
Insomma, truffo i clienti sì. Ma questo l’ho già raccontato in un altro blog.
ilderattizzatore in un certo senso ne rappresenta il proseguimento. Con la differenza che allora ero un disoccupato, mentre ora ho una professione e tutto quello che ciò comporta.
Può darsi che vi paia poco serio prestare attenzione alle considerazioni di un killer di topi. Pensate però alle persone importanti, capi di stato e presidenti vari, che ascoltate tutti i giorni al telegiornale. In fin dei conti sono miei colleghi: trattiamo solo specie diverse, no?