Sunday, November 24, 2002

Zucchero e rivoluzione

Ma voi l’avete mai visto uno zuccherificio? Io no, fino a qualche settimana fa. Mi ci hanno portato motivi professionali.

La bassa pianura padana, soprattutto nella zona tra le province di Ferrara e Ravenna ne ospita un buon numero. Se vi capitasse di passare in auto nei pressi di uno di questi mostri fumanti, probabilmente vi farete già un’idea di che posto possa essere. Ma se avrete l’occasione di entrarci dal vivo, godendo di una visione del panorama particolareggiata fino al dettaglio, di immergervi negli effluvi e nei miasmi che lo avvolgono, avrete fatto un’ esperienza sensoriale oggi tutto sommato abbastanza elitaria.

Se vi fermerete alla superficie di questo esame per esprimere un giudizio, usciranno dalla vostra bocca solo parole di schifo per questi ambienti decrepiti e rugginosi, vetusti e puzzolenti, per queste architetture industriali aspiranti a un’ archeologia che solo una pervicace ostinazione al male può continuare a negare crudelmente. Ma se farete lo sforzo di andare un po’ più in là con la fantasia e immaginarvi questi posti quando furono creati, nella seconda metà del diciannovesimo secolo o nei primi decenni del ventesimo, forse sarete sulla buona strada per capire, o meglio, per intuire, le ragioni di uno dei fatti più misteriosi di quell’epoca. Un fatto talmente clamoroso che l’eco è giunta fino a noi: l’improvvisa esplosione dell’idea socialista in Europa. Il contagioso diffondersi della voglia di fare la rivoluzione.

Quando lo leggiamo a scuola, nelle ore di storia, l’occhio scivola sul paragrafo. E tutto resta banalmente scontato, vuoto, inafferrabile come tutte le verità rivelate.

Ma vederlo, vederlo è un’altra cosa. Io sono un tipo tranquillissimo. Credo che tutti lo siano, alla nascita. Ma non riesco a immaginare nessuno essere costretto a passare in un posto come quello otto o forse nove o forse dieci ore della sua giornata, per trenta o forse trentacinque o forse quarant’anni, senza volere almeno sgozzare il padrone con le proprie mani. Così, solo per puro piacere. Solo per vedere l’effetto che fa. Per non lasciare niente di intentato.

Avevano il bel da dirgli agli sventurati, che dopo, con il comunismo, sarebbe stato peggio. Quel che contava non era dopo: era durante.

Ho detto zuccherificio, ma naturalmente potevo dire (immagino..) petrolchimico o acciaieria o industria meccanica. L’idea di fare la rivoluzione è stata abbandonata quando queste immonde creature hanno cominciato la decadenza. Quando hanno perso la loro centralità. Quando hanno smesso di essere elemento rappresentativo del futuro, per assumere invece un ruolo di retroguardia residuale. (ma a tutt’oggi presente, eccome..)

Un po’ di tempo fa ho visto un film: Non mi basta mai, di Daniele Vicari. E’ un film-documentario sullo sciopero più lungo che ci fu nella storia della FIAT, correva l’anno 1980. Vengono intervistati alcuni degli operai che lo fecero e che ripercorrono la loro storia personale, dall’arrivo in fabbrica ai giorni nostri.
Tra le testimonianze mi ha colpito un' operaia che diceva:
“ Io venivo da un paesino del sud, sono arrivata a Torino e mi hanno assunto in FIAT, al reparto presse. Io non mi aspettavo una cosa così. Ma lei, (all’intervistatore NdA) l’ha mai vista lei una pressa?”
Io no.
Ma immaginandomi di immaginare, mi pongo questa domanda: com’è che nonostante i milioni e milioni di persone che hanno visto presse e zuccherifici, le rivoluzioni sono state così poche?

0 Comments:

Post a Comment

<< Home