Friday, November 29, 2002

Uomini e topi

Il 29 Novembre di sessantaquattro anni fa Angelo Fortunato Formiggini - Formaggino da Modena, editore modenese ed ebreo si gettava dalla Ghirlandina, la torre campanaria del Duomo di Modena nonché simbolo della città, “per dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti”

Uomo bizzarro, “tra i meno noiosi della sua epoca” come amava autodefirsi. Innamorato dei libri fino a dilapidare il patrimonio della sua ricchissima famiglia, gioiellieri di corte quando Modena era un ducato, per fare l’editore.

Uomo fissato con il ridere: Filosofia del ridere si intitolava la tesi della sua seconda laurea e I classici del ridere sarà la collana di maggior successo della sua produzione editoriale.

Editore minore, come minore è la storia che lo riguarda.

“Un bel mattino di maggio del 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso (…), ero diventato editore”

Idealista sfigato, come talvolta lo sono gli uomini.

Morendo donerà la sua enorme collezione di volumi alla Biblioteca Estense. Il direttore, che formalmente riceverà la donazione dalla moglie, dovrà scrivere sul documento che sancisce il lascito: “Si precisa che la signora Emilia Santamaria è di razza ariana”

Non una riga sulla sua morte uscirà su L’Italia che scrive – la rivista bibliografica che aveva fondato e diretto - né sui giornali locali.
Uomini e topi, appunto.


Wednesday, November 27, 2002

“Ma perché queste persone devono passare la loro vita sotto terra facendo un lavoro infame solo perché hanno una famiglia da mantenere? Aboliamo la famiglia e facciamola finita.”

Carmelo Bene – dichiarazione a proposito dei minatori del Sulcis Iglesiente

Sunday, November 24, 2002

Zucchero e rivoluzione

Ma voi l’avete mai visto uno zuccherificio? Io no, fino a qualche settimana fa. Mi ci hanno portato motivi professionali.

La bassa pianura padana, soprattutto nella zona tra le province di Ferrara e Ravenna ne ospita un buon numero. Se vi capitasse di passare in auto nei pressi di uno di questi mostri fumanti, probabilmente vi farete già un’idea di che posto possa essere. Ma se avrete l’occasione di entrarci dal vivo, godendo di una visione del panorama particolareggiata fino al dettaglio, di immergervi negli effluvi e nei miasmi che lo avvolgono, avrete fatto un’ esperienza sensoriale oggi tutto sommato abbastanza elitaria.

Se vi fermerete alla superficie di questo esame per esprimere un giudizio, usciranno dalla vostra bocca solo parole di schifo per questi ambienti decrepiti e rugginosi, vetusti e puzzolenti, per queste architetture industriali aspiranti a un’ archeologia che solo una pervicace ostinazione al male può continuare a negare crudelmente. Ma se farete lo sforzo di andare un po’ più in là con la fantasia e immaginarvi questi posti quando furono creati, nella seconda metà del diciannovesimo secolo o nei primi decenni del ventesimo, forse sarete sulla buona strada per capire, o meglio, per intuire, le ragioni di uno dei fatti più misteriosi di quell’epoca. Un fatto talmente clamoroso che l’eco è giunta fino a noi: l’improvvisa esplosione dell’idea socialista in Europa. Il contagioso diffondersi della voglia di fare la rivoluzione.

Quando lo leggiamo a scuola, nelle ore di storia, l’occhio scivola sul paragrafo. E tutto resta banalmente scontato, vuoto, inafferrabile come tutte le verità rivelate.

Ma vederlo, vederlo è un’altra cosa. Io sono un tipo tranquillissimo. Credo che tutti lo siano, alla nascita. Ma non riesco a immaginare nessuno essere costretto a passare in un posto come quello otto o forse nove o forse dieci ore della sua giornata, per trenta o forse trentacinque o forse quarant’anni, senza volere almeno sgozzare il padrone con le proprie mani. Così, solo per puro piacere. Solo per vedere l’effetto che fa. Per non lasciare niente di intentato.

Avevano il bel da dirgli agli sventurati, che dopo, con il comunismo, sarebbe stato peggio. Quel che contava non era dopo: era durante.

Ho detto zuccherificio, ma naturalmente potevo dire (immagino..) petrolchimico o acciaieria o industria meccanica. L’idea di fare la rivoluzione è stata abbandonata quando queste immonde creature hanno cominciato la decadenza. Quando hanno perso la loro centralità. Quando hanno smesso di essere elemento rappresentativo del futuro, per assumere invece un ruolo di retroguardia residuale. (ma a tutt’oggi presente, eccome..)

Un po’ di tempo fa ho visto un film: Non mi basta mai, di Daniele Vicari. E’ un film-documentario sullo sciopero più lungo che ci fu nella storia della FIAT, correva l’anno 1980. Vengono intervistati alcuni degli operai che lo fecero e che ripercorrono la loro storia personale, dall’arrivo in fabbrica ai giorni nostri.
Tra le testimonianze mi ha colpito un' operaia che diceva:
“ Io venivo da un paesino del sud, sono arrivata a Torino e mi hanno assunto in FIAT, al reparto presse. Io non mi aspettavo una cosa così. Ma lei, (all’intervistatore NdA) l’ha mai vista lei una pressa?”
Io no.
Ma immaginandomi di immaginare, mi pongo questa domanda: com’è che nonostante i milioni e milioni di persone che hanno visto presse e zuccherifici, le rivoluzioni sono state così poche?